28 novembre 2014
“TRA SOGNO E REALTÀ”
Il percorso artistico del maestro Francesco Piseddu.
Un quadro non è soltanto quello che si vede con gli occhi, figure, forme, linee, colori. Il suo pregio è l’indefinibilità, ciò che spesso sfugge agli occhi di chi non ha una cultura specifica, quindi di chi non conosce la storia dell’arte, la scienza del disegno, l’impaginazione. Sarebbe come ascoltare la musica da camera senza conoscere le note del pentagramma, l’armonia, la composizione. Questi tre elementi permettono al fruitore di ascoltarla e analizzarla nelle sue complesse sfaccettature, facendola arrivare all’anima. Così avviene anche nella pittura che deve emozionare, liberandoci dai legami puramente visivi e proiettandoli in sublimi emozioni interiori. Per essere padroni del proprio strumento è indispensabile avere la tecnica, l’ esperienza e il mestiere che si conquistano con grandi sacrifici e un continuo lavoro. La pittura fredda, fatta della traduzione materiale del soggetto, come nell’iperrealismo, non è arte ma solo una esercitazione accademica. Un’opera d’arte è tale quando è valida in tutti i tempi e in tutti i luoghi, quando tra il soggetto e l’artista vi è un ponte che lega lo spirito e l’anima del pittore a quella dell’osservatore.
ARTE è sinonimo di bellezza, così venne stabilito nel Cinquecento a Firenze. Il bello implica la grazia, l’equilibrio, la forza comunicativa, l’armonia. Queste qualità mancano quasi del tutto nell’arte contemporanea, che ci propina con forza il brutto, costituito da ferrovecchio, stracci, pneumatici, vecchie lavatrici, scaldabagni, incollaggio di elementi elettronici esausti e dipinti con la bomboletta, tubi innocenti per impalcature, materiali che si trovano dai rottamai. Questi oggetti solo perché finiscono in spazi espositivi diventano capolavori. E’ sufficiente dire faccio arte Concettuale, Minimalismo, Allestimenti … e tutta questa spazzatura assurge presuntuosamente ad arte. Mi chiedo se questi artisti enfatizzati dai mass-media e dai falsi critici sarebbero capaci di fare quello che i grandi i grandi Maestri ci hanno lasciato in eredità. Sono certo che non ci riuscirebbero, mentre i Maestri saprebbero fare quello che si fa oggi. Se vuoi un’opera d’arte contemporanea, fattela tu stesso a casa tua.
Ogni artista che si rispetti ha il suo tocco, cioè il suo timbro vocale che lo distingue da tutti gli altri, rendendo l’opera unica e inconfondibile. Purtroppo l’arte e gli artisti del nostro tempo hanno perso tale qualità. Questa introduzione mi permette di presentare l’opera del maestro Francesco Piseddu attraverso un viaggio di cinquant’anni. Il suo viaggio pittorico è sostenuto da un grande mestiere, da una profonda conoscenza del disegno e del colore, dall’equilibrio della composizione (impaginazione). Nel quattrocento Leon Battista Alberti così definì l’artista “per essere tale bisogna conoscere tutte le tecniche del disegno nelle varie prospettive, la scienza del colore, l’impaginazione: se uno di questi elementi manca non si può parlare di artista ma di un modesto pittore”. Il percorso pittorico del maestro Piseddu lo ha portato subito a trovare il suo tocco, il timbro di voce personale. Grande studioso, grande lavoratore, lo dimostra la sua enorme produzione. All’inizio furono ricerche cromatiche fatte di contrasti forti, di personaggi sofferenti, deformati, di insetti giganti, di sfondi brulicanti sostenuti da accensioni cromatiche, che ne esaltano la drammaticità evidenziando il carattere surreale ed espressionistico delle opere, come nei Fuggiaschi, nella Crocifissione, nello Scarabeo e nella Visione apocalittica. Seguirono i ritratti, di grande qualità introspettiva, dalla sorprendente tecnica pittorica ricca di una pennellata minuziosa e delicata che col tempo arriva ad una sintesi cromatica essenziale, quasi monocroma, sfruttando come mezzi toni il colore usato nella preparazione della tela. Ci furono poi le nature morte, all’inizio realizzate con una cura quasi seicentesca del particolare, e che pian piano arrivano ad una sintesi totale, conservando solo alcuni segni essenziali sostenuti da un colore scarno, dato quasi come fosse disegno. Ciò avviene anche nei paesaggi, negli scorci del suo paese, della sua casa natale, dei crepuscoli quasi notturni che gli permettono di realizzare contrasti cromatici esaltati dai forti scuri dei primi piani sostenuti dal blu di Prussia arricchito dai bruni e dalla lacca di garanza che ne esaltano le forti luci dell’ultimo piano.
Concludo dicendo quindi che l’arte non ha bisogno di intermediari, di interpreti che illustrino un’opera. E’ sufficiente studiare Tiziano per avvalorare la mia teoria, per sostenere il mio credo sull’arte. Il grande maestro inizialmente costruiva nei minimi particolari le sue opere. Alla vecchiaia arrivò ad una sintesi strutturale, quasi “distruggendo” il disegno, a un cromatismo fatto di una ristretta gamma di colori, eseguito da piccoli tocchi di pennello, precorrendo con il suo modo di dipingere l’impressionismo.
Salvatore Atzeni – Curatore mostra
© GalMarmilla